La nostra storia e le nostre idee

Il Gruppo nasce, con il nome di Riforma dell’accesso alla professione, nel 1989 a Roma per iniziativa di Giorgio Bonelli, capo ufficio stampa delle Acli. L’intento originario è quello di organizzare tutti i pubblicisti che, pur lavorando a tempo pieno o in maniera prevalente come giornalisti e non essendo iscritti ad altri Ordini, Albi o Collegi professionali, non sono riusciti ad ottenere dall’Ordine dei giornalisti il giusto riconoscimento di poter sostenere l’esame per diventare professionisti, né hanno la tutela di un contratto di lavoro sottoscritto dal sindacato o di un tariffario minimo per le proprie collaborazioni. La motivazione della nascita del Gruppo è la modifica della legge sull’Ordine dei giornalisti, approvata nel 1963, in senso più rispondente alla realtà odierna e l’apertura della professione a un accesso per merito e non
per “cooptazione” dei giovani, rompendo le barriere anacronistiche che, al tempo di oggi, l’hanno trasformata in una casta accessibile solo a pochi privilegiati o fortunati
.

La Riforma dell’accesso alla professione, appunto, collegata a nuove forme di tutela contrattuale (per l’emittenza locale, la piccola editoria, gli uffici stampa, l’editoria elettronica) e normativa (tutela della libera professione, lotta al precariato, riconoscimento del lavoro giornalistico dei foto-tele-reporter, coperture pensionistiche e contro le malattie), è l’obiettivo che il Gruppo assume come prioritario della propria azione. A Bonelli si unisce un piccolo comitato promotore, con dapprima Angelo Palma, fotoreporter, e poi Fausto Pellegrini, collaboratore di varie testate e responsabile di uffici stampa (oggi giornalista Rai), Massimo Marciano, freelance, e Cynthia D’Ulizia, cronista di Radio Città Aperta (poi ne diventerà direttrice), prematuramente scomparsa. Si inizia così a organizzare la partecipazione di liste alle elezioni degli organismi di categoria (Ordine, sindacato, Inpgi, Casagit) e poi a prendere parte attivamente ai dibattiti dei giornalisti del Gruppo di Fiesole, con cui si individuano parecchi punti di condivisione.
Dal 1991, quindi, il nostro Gruppo è presente con propri candidati pubblicisti in occasione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio interregionale di Lazio e Molise e del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, nonché degli organismi dirigenti della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) e dell’Associazione stampa romana (Asr), dell’Inpgi e della Casagit. Questo impegno ci ha portato, negli anni, ad avere nostri rappresentanti in tutti questi organismi.

Nel frattempo molti di noi hanno ottenuto il riconoscimento d’ufficio del praticantato in virtù del lavoro giornalistico svolto, divenendo così giornalisti professionisti. Molti altri giornalisti professionisti si sono avvicinati alle nostre tematiche. La progressiva precarizzazione dei rapporti di lavoro, poi, ha creato una vera e propria “zona grigia”, fatta sia di professionisti sia di pubblicisti, che indipendentemente dall’elenco dell’Ordine in cui sono iscritti, si trovano a vivere il proprio lavoro in maniera ugualmente precaria e non garantita. Un insieme di colleghi che non si limita neanche al territorio di Roma, del Lazio e del Molise: le zone dove si è concentrato il lavoro niziale del nostro Gruppo.

Il nostro Gruppo ha finito, quindi, per superare i confini entro i quali è nato, per raccogliere il contributo e l’impegno di tanti che, in tanti luoghi e in tante forme, “vivono di giornalismo” ma sono costretti a farlo in maniera precaria. E in questa evoluzione, il nostro Gruppo ha visto i propri esponenti professionisti impegnarsi anche nella componente sindacale di Autonomia e Solidarietà, sempre vicina alle nostre tesi.

In tutti questi anni, Giorgio Bonelli non ha mai smesso di illuminarci con la sua esperienza, spronarci con la sua energia, confortarci con la sua sensibilità nei momenti (tanti!) di delusione. Non ha mai smesso di impegnarsi in prima persona, come lo ha fatto per anni accompagnando per mano tantissimi giovani e meno giovani perché ottenessero un contratto o l’accesso all’esame da professionista. Non ha mai smesso neanche quando il male lo ha colpito, ma non fermato. Non ha mai smesso fino all’ultimo: fino all’improvvisa e imprevedibile scomparsa, il 21 dicembre 2003.

Ma l’opera avviata da Bonelli non si è fermata. Abbiamo voluto cambiare il nostro nome in Gruppo “Giorgio Bonelli”-Giornalisti per la riforma della professione proprio perché il suo impegno prosegue con i tanti di noi che, sotto il suo stimolo e la sua guida, sono arrivati oggi ad essere impegnati all’interno degli organismi di categoria.

Attraverso questi nostri rappresentanti stiamo da anni portando avanti le nostre proposte sulla riforma dell’accesso al giornalismo, perché divenga più “democratico” e “meritocratico” rispetto all’attuale regola della “chiamata per cooptazione”, e sul riconoscimento in termini normativi, sindacali e contrattuali di tutti coloro che “vivono” quotidianamente di giornalismo, ma che la legge sull’Ordine, da tempo divenuta vecchia e inadeguata, nonché la mancanza di regole certe nel mondo dell’informazione costringe al lavoro nero, all'”abusivismo” e allo sfruttamento da parte di datori di lavoro senza scrupoli.

A tutti costoro ci rivolgiamo per conoscerci, scambiare esperienze e ideee sulla base dei punti base del nostro programma di lavoro. Qui di seguito riportiamo quello che è il nostro manifesto programmatico “storico”, la cui stesura per gran parte è stata ispirata da Giorgio Bonelli.

Ma ogni giorno c’è bisogno di nuove idee, nuovi contributi, per far sì che i principi esposti nel nostro “Manifesto” siano sempre attuali e costruiti con l’apporto delle nuove generazioni di giornalisti. Questo spazio che attraverso il sito abbiamo costruito, il nostro lavoro quotidiano nel sindacato e negli altri organismi di categoria sono pronti ad accogliere tutti coloro che intorno ai nostri principi si ritrovano.

Massimo Marciano


Il “manifesto programmatico” originario del Gruppo “Giorgio Bonelli”-Giornalisti per la riforma della professione

Roma, maggio
2001

La riforma dell’Ordine dei giornalisti

I giornalisti di “Riforma dell’accesso alla professione” confermano il loro impegno – ormai decennale – per la riforma dell’Ordine. Nonostante le numerose proposte di legge presentate in Parlamento da varie forze politiche (ultima quella del sen. Passigli), dalla Fnsi e dallo stesso Consiglio nazionale dell’Ordine, nulla è cambiato. L’attuale legge continua di fatto a tutelare la corporazione dei giornalisti professionisti, consente alla casta di difendere i propri privilegi, mantiene i pubblicisti-“professionisti di fatto” ai margini della professione, sottopagati, sfruttati da editori e da datori di lavoro che li costringono al lavoro nero e precario, senza alcuna tutela sindacale e previdenziale (a meno che non si consideri l'”Inpgi 2″ una soluzione al problema!).
Tutto questo perché la legge dell’Ordine che regola l’accesso alla professione discrimina e costringe (con il famigerato art. 34) gli aspiranti professionisti alle “forche caudine” del praticantato, al quale si accede spesso per raccomandazione o per diritto di discendenza. Le scuole di giornalismo riconosciute dall’Ordine (che equivalgono al praticantato) sono a “numero chiuso” e questo consente all’Ordine di “controllare” l’accesso alla professione e quindi il mercato. Ordine e Sindacato si pongono infatti – giustamente, dal loro punto di vista – l’obiettivo di ridurre al minimo disoccupazione e mobilità per i giornalisti professionisti; disoccupazione e mobilità riservate ai comuni mortali (i pubblicisti) e che non possono intaccare il diritto “divino” dei professionisti alla piena occupazione. Sempre più però la disoccupazione – anche grazie alla rigidità e onerosità del contratto unico della Fnsi – colpisce inevitabilmente anche i professionisti che, quando perdono il posto di lavoro, sono costretti a diventare, loro malgrado, freelance, liberi professionisti; esattamente come i pubblicisti-“professionisti di fatto”.

Dopo il referendum, in attesa della legge oppure dell’Europa

Ora tutto questo deve cambiare. Dopo il fallimento del referendum per l’abolizione dell’Ordine (molti di noi erano favorevoli e il tempo sta dimostrando l’incapacità e la non volontà della categoria di promuovere una autoriforma democratica), provvederà probabilmente il Governo con il progetto di abolizione degli Ordini professionali, oppure – quasi certamente – l’Unione Europea con una sua Direttiva per adeguare l'”anomalia” italiana (siamo i soli in Europa ad avere un Ordine dei giornalisti) agli altri Paesi della Comunità.

E’ con questo Ordine che dobbiamo fare i conti

Intanto il tempo passa e l’Ordine – questo Ordine – seguita a regolare l’accesso alla professione sulla base di una legge ingiusta e antidemocratica. Ma poiché l’Ordine esiste, è con l’Ordine – questo Ordine – che dobbiamo fare i conti. Per questo continuiamo a proporre – nel Lazio e nel Molise, ma anche in altre regioni d’Italia con liste che condividono il nostro programma – una lista di candidati, per il Consiglio interregionale e per quello nazionale, che dichiarano di impegnarsi per la riforma dell’Ordine. Una riforma che stabilisca un accesso libero e democratico e una “sanatoria” (prevista peraltro da tutte le proposte di legge di riforma) per quanti da anni, a tempo pieno o prevalente, esercitano la professione giornalistica e sono quindi “professionisti di fatto”.

Proponiamo questi candidati, perché…

Proponiamo questi candidati, in contrapposizione ad altri che – legittimamente – per anni si sono battuti contro la riforma dell’accesso alla professione, costringendo però i “professionisti di fatto” nel “ghetto” del pubblicismo e impedendo loro di esercitare la professione in termini professionali, invocando anzi per loro il reato di esercizio abusivo della professione.
Proponiamo questi candidati, in contrapposizione ad altri, perché è concreto il “rischio” che alla fine la riforma dell’Ordine si faccia, ma alzando nuovi ostacoli all’accesso libero e democratico alla professione (la laurea, il corso biennale post universitario, le scuole di giornalismo, il “numero chiuso”, ecc.) e quindi difendendo i privilegi di chi già si trova nel “sacro recinto”.
Anche noi vogliamo una formazione professionale e un livello culturale adeguato per chi intende esercitare la professione giornalistica, e siamo pronti a discutere obiettivi e modalità, purché tutto questi non diventi un nuovo discrimine nei nostri confronti e un comodo alibi per favorire ancora di più l’attuale corporazione dei professionisti.

Non ci basta essere “professionali” solo sulla carta

Per questo, in quanto “professionisti di fatto”, in questi anni ci siamo battuti, in sede sindacale, per ottenere – e lo abbiamo ottenuto, all’inizio del 1998, con il Congresso straordinario della Fnsi a Riccione – il diritto ad un riconoscimento “professionale”; un riconoscimento che, per non essere solo formale, dovrà essere completato con la conquista di un contratto “articolato” (per la piccola e media editoria ed emittenza, per i telefotocinereporter, per gli uffici stampa), differenziato a seconda delle capacità economiche degli editori (non certo per far loro un regalo!), che stroncherà finalmente la vergognosa piaga del lavoro nero e consentirà una tutela sindacale e previdenziale per tutti coloro che di fatto esercitano la professione giornalistica.

Ordine e sindacato: due facce della stessa medaglia

Solo la riforma dell’Ordine potrà garantire una adeguata tutela sindacale per tutti i giornalisti. Siamo infatti consapevoli che la riforma dello Statuto della Fnsi, che ci divide tra “professionali” e “collaboratori”, è in qualche modo una forzatura rispetto all’attuale legge dell’Ordine. Di qui il nostro impegno prioritario nel sindacato, per la difesa dei diritti dei “professionisti di fatto”, in attesa che il Parlamento o l’Unione Europea risolvano la questione dell’Ordine.

Non abbiamo fatto solo chiacchiere

In questi anni ci siamo impegnati – a livello nazionale e romano – nelle Commissioni per l’emittenza, per l’editoria, per i freelance, per gli uffici stampa, per i giornalisti dell’informazione visiva (telefotocinereporter); ci siamo battuti per ottenere i provvedimenti necessari perché l'”Inpgi 2″ non fosse una “tassa”, ma una gestione previdenziale efficiente per coloro che, come freelance, esercitano in via prevalente o esclusiva la professione giornalistica; abbiamo rivendicato, ad esempio, forme di tutela per gli infortuni sul lavoro come quelle attualmente previste per i professionisti al costo irrisorio di 13.000 lire mensili. Inoltre abbiamo chiesto l’iscrizione alla gestione principale dell’Inpgi (che ora è riservata solo ai professionisti e ai praticanti) anche ai pubblicisti che hanno un contratto di lavoro giornalistico (non necessariamente Fnsi).
Quest’ultimo è un elemento particolarmente importante per far sì che anche i “professionisti di fatto” possano accedere alle tutele previste oggi solo per i giornalisti che hanno ottenuto (secondo le norme dell’attuale legge) il riconoscimento del professionismo da parte dell’Ordine. La contribuzione comune all'”Inpgi principale” favorirebbe – è questa la speranza – l’adeguamento delle retribuzioni dei “professionisti di fatto” e la previsione di nuove forme di garanzie contrattuali per coloro che, lavorando per piccoli editori, nelle emittenti locali o negli uffici stampa, oggi non si vedono riconosciuto l’oneroso contratto nazionale di lavoro giornalistico firmato dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) e dalla Federazione Italiana Editori Giornali (Fieg).

Perché chiediamo il sostegno a tutti

Con la presentazione della nostre liste noi vogliamo rendere visibile non tanto la nostra presenza ma la necessità di rendere effettiva e urgente la riforma della legge dell’Ordine, stimolando – per quanto ci è possibile – gli organi della categoria (Ordine, sindacato, Inpgi, Casagit) perché avviino comunque un processo di autoriforma.
Chiediamo perciò il sostegno di tutti per questa nostra piattaforma. E lo chiediamo non soltanto ai “professionisti di fatto”, ma anche – e soprattutto – a quei pubblicisti (e sono tanti!) che avrebbero potuto diventare professionisti e che non lo sono diventati a causa di questa legge e di questo Ordine corporativo.
Lo chiediamo perché sia possibile ad altri, più giovani, speriamo più fortunati, di esercitare liberamente la professione giornalistica in termini professionali, senza raccomandazioni e discriminazioni. Lo chiediamo perché siamo convinti che sia giusto combattere una legge profondamente ingiusta, che ha condannato intere generazioni ai margini della professione. E’ un atto di giustizia e di solidarietà che può forse ripagarci, almeno in parte, per l’ingiustizia subita.

Chiediamo il sostegno anche a chi non crede nell’Ordine

Chiediamo il sostegno anche a chi, dopo tante battaglie per cambiare la legge istitutiva dell’Ordine, si è convinto che questo Ordine, corporativo e di casta, è immodificabile (se non attraverso una nuova legge). Chiediamo anche a loro di partecipare alle nostre iniziative perché – costretti dalla legge a rinnovare comunque la nostra annuale iscrizione per poter lavorare in quanto giornalisti – non vogliamo lasciare ad altri il diritto di presentarsi di fronte all’opinione pubblica e ai nostri colleghi come gli unici rappresentanti di quanti, come noi, pur non essendo riconosciuti dall’Ordine come professionisti, lo sono di fatto. Vogliamo, secondo le più elementari regole della democrazia, dare voce, anche all’interno di questo Ordine, ai tanti che si battono da sempre per modificare le regole.

Aspettiamo il sostegno e la collaborazione di tutti coloro che condividono la nostra piattaforma di lavoro. Conoscersi e scambiarsi esperienze e idee è il miglior modo per far valere i nostri diritti.

Per questo, chiediamo a tutti coloro che condividono la nostra piattaforma di inviarci una e-mail e di iscriversi alla nostra mailing list: per chiedere informazioni e per portare un contributo alla battaglia per la riforma della professione giornalistica.

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