Assicurano ben più della metà dell’informazione prodotta quotidianamente in Italia, rappresentano la maggioranza dei professionisti che lavorano nel settore, sono l’unico strumento per conoscere ciò che succede nella nostra città e nel nostro quartiere. E vengono pagati pochi euro a pezzo pubblicato. Quando vengono pagati, magari con sei mesi di ritardo.
Sono l’altra faccia del giornalismo italiano: quella che non è illuminata dalla notorietà televisiva nazionale o dalle campagne contro i bavagli dell’informazione. Eppure sono i giornalisti che con i bavagli e le manette (talvolta non solo in senso figurato) hanno più “familiarità”. Ricattati da editori senza scrupoli, con la minaccia di vedersi negare anche quei pochi euro che servono per mandare avanti la propria famiglia se osano “alzare la testa” o, peggio, impegnarsi in battaglie sindacali. Minacciati con preoccupante frequenza dai “potenti” di querele o richieste di risarcimento danni milionarie se si permettono di indagare su verità scomode, senza avere neanche la garanzia dell’assistenza legale da parte di quell’avido editore che, però, si è affrettato a mandarli allo sbaraglio per poter approfittare del succoso scoop.
Precari, sottopagati, mobbizzati: sono i giornalisti per i quali nessuno mai ha promosso una campagna di solidarietà contro i frequenti “editti bulgari” che li colpiscono. Perché sono invisibili. Prima regola dell’informazione, infatti, è che ciò che non viene raccontato non esiste. E loro non devono esistere, perché per i “padroni del vapore” dell’informazione italiana sono i nuovi servi della gleba. Padroni di tutte le “razze” politiche, anche quelli che fanno della lotta al lavoro precario la bandiera dei loro giornali. Ma se la sovranità, come dice la Costituzione, appartiene al popolo, come possono i cittadini esercitarla se l’informazione è fatta per la maggior parte da giornalisti ricattati e precari?
Ci siamo ritrovati in tanti, da tutta Italia, venerdì 7 e sabato 8 al teatro Odeon di Firenze, insieme – finalmente! – ai colleghi più sensibili e lungimiranti tra i dirigenti degli organismi di categoria: Ordine, sindacato (Federazione nazionale delle stampa e associazioni regionali), Istituto di previdenza (l’Inpgi) e Cassa sanitaria integrativa (la Casagit). Per la prima volta insieme centinaia di freelance, precari, collaboratori senza alcun contratto e spesso neanche due righe di lettera di incarico, tanto perché il “padrone” possa essere sicuro di poterti dare il benservito se sei una “testa calda”, nonostante tu gli assicuri ogni giorno più di un servizio.
Tutti uniti nel ricordo di Pierpaolo Faggiano, il collega pugliese che all’inizio dell’estate non ce l’ha fatta più a sopportare una quotidianità precaria e si è tolto la vita. A lui, dopo due giorni di lavoro, abbiamo dedicato la “Carta di Firenze”: un documento che per la prima volta mette nero su bianco i diritti a difesa dei precari dell’informazione e della democrazia. E prevede sanzioni a carico di quei giornalisti “garantiti” che – come direttori, capiredattori o comunque “graduati” nelle redazioni – hanno la responsabilità di mettere in atto i ricatti ordinati dagli editori ai danni dei precari.
Sanzioni che l’Ordine dei giornalisti sarà chiamato ad applicare, una volta che il suo Consiglio nazionale – si prevede entro dicembre – avrà ratificato la “Carta di Firenze”. Lo farà? Quando? Come? Questa è un’altra storia. La si potrà scrivere se sapremo tutti insieme, giornalisti e cittadini, costruire una vera e propria vertenza per la libertà dell’informazione dal precariato e dai ricatti, per la dignità del lavoro e la democrazia del nostro Paese.
Un’alleanza fra chi rappresenta la parte più grande, ma più debole, del giornalismo italiano e i cittadini, le associazioni dei consumatori, degli utenti. Sarebbe anche questa la prima volta. E’ il progetto, la sfida, la consapevolezza con la quale, personalmente, ho lasciato Firenze.
Massimo Marciano
Precariato-Ordine dei giornalisti
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