Il quesito di L. F.:

Gentile Massimo,

ti contatto perché ho bisogno del consiglio di un esperto, in tempi serrati. Sono un pubblicista che collabora da anni con un’agenzia con contratto da collaboratore co.co.co. rinnovato di anno in anno. Qui ho uno stipendio fisso mensile e l’agenzia si occupa di pagarmi l’Inpgi (io verso solo la quota parziale soggettiva). Fin qui tutto bene.

Come tanti colleghi, però, oltre al lavoro “fisso” (se fisso si può chiamare il co.co.co.) ho collaborazione con cessione di diritti e prendo 8 euro lordi a pezzo (sic!). I Capoccia del caso, però, sostenendo di dover adempiere a non meglio specificate leggi, mi impongono tassativamente di aprire da novembre la partita Iva, senza spiegare vantaggi e/o svantaggi del caso.

E qui mi appello a te. Contando che all’anno tale collaborazione “secondaria” mi garantisce tra i 2mila e i 3mila euro e che quella “primaria” (co.co.co.) resterà in essere, il gioco vale la candela? Tremila euro l’anno sono una soglia adeguata per fatturare con partita Iva? O si tratta del classico contratto capestro tutto a vantaggio dei committenti?

Grazie mille.

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La risposta di Massimo Marciano:

Caro collega,

se dovessi risponderti sinteticamente con una battuta alla Guzzanti, ti direi semplicemente: “La seconda che hai detto”. L’imposizione dell’apetura della partita Iva è uno strumento che parecchi editori stanno sempre più usando, sia per cercare di rendere il più possibile difficili eventuali future vertenze per il riconoscimento del lavoro subordinato, sia per evitare gli obblighi dell’instaurazione anche di un semplice co.co.co.

Il tuo caso, quindi, è davvero emblematico del comportamento di parecchi editori nei confronti dei collaboratori, sia in termini di regolamentazione del rapporto di lavoro, sia in termini di quantificazione infima del compenso. Aprire la partita Iva, inoltre, comporterebbe per te ulteriori spese, prima fra tutte quella del commercialista, rispetto a quelle che già sicuramente sostieni in proprio per portare avanti il tuo lavoro. La partita Iva potrebbe convenirti qualora i proventi fossero alti abbastanza da consentire anche cospicue deduzioni per spese per l’esercizio della professione.

Nella tua situazione, ti suggerirei come prima cosa di chiedere all’editore che ti motivi dettagliatamente il perché della sua richiesta, a fronte dell’entità del reddito (per carità: se vuole aumentartelo ben venga, ovviamente!). Ti consiglierei anche di rivolgerti all’Associazione della stampa della tua regione per avere appoggio e assistenza in caso di necessità: il sindacato dei giornalisti ha,infatti, nelle sue articolazioni regionali dei gruppi di freelance e collaboratori ed è utile monitorare e sostenere le situazioni come la tua, che non devono rimanere isolate e prive di protezione sindacale.

Tienimi aggiornato, se vuoi.

Lavoro: quesiti – Quando l’editore ti obbliga alla partita Iva per soli otto euro lordi a pezzo
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